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Il Museo della seta

Il Museo è composto da diverse sezioni: la sezione di archeologia industriale, ossia l’antica Fabbrica della Seta, l’Appartamento Storico e i Reali Giardini. Ciò che caratterizza questo Sito è lo strettissimo rapporto storico determinato dall’edificio-contenitore e la raccolta di beni presente in esso formandone un tutt’uno.

Il percorso di visita, arricchito da dispositivi multimediali che aiutano la comprensione dell’enorme lavoro che c’è dietro ogni prodotto serico, si articola in:

Sezione di Archeologia Industriale, si sviluppa su due piani e ospita numerosi macchinari e attrezzature dell’epoca utilizzate nelle varie fasi della lavorazione della seta. In particolare evidenza sono i nove telai a mano, tutti restaurati e funzionanti, per la produzione di broccati, broccatelli, lampassi, damaschi e della famosa “coperta leuciana” (un magnifico tessuto di damasco ad una spola, di grandi dimensioni, la cui produzione si afferma nella seconda metà dell’ottocento). Tra le eccezionalità si annoverano i due grandi torcitoi cilindrici in legno, sui quali 1200 rocchetti girano all’unisono,ricostruiti negli anni novanta del secolo scorso secondo i disegni originali e mossi dalla ruota idraulica posta nel sottosuolo. Nella parte finale della sezione sono esposti vari tessuti serici di moderna fattura, per poter finalmente toccare con mano la ricchezza e la delicatezza del prodotto finito.

Appartamento Reale,  composto da una serie di stanze particolarmente affascinanti, in cui la seta è sempre protagonista. Tra tutte spiccano: il Bagno Grande, cosiddetto “Bagno di Maria Carolina”, interamente dipinto ad encausto nel 1792 dal primo pittore di corte, Philiph Hachert; la sala da pranzo, dipinta con storie della vita di Bacco da Fedele Fischetti; la stanza da letto, sul cui soffitto campeggia l’Aurora, opera di Giuseppe Cammarano; il Coretto, da cui i sovrani assistevano alle celebrazioni liturgiche nella sottostante chiesa di San Ferdinando Re, tuttora aperta al culto.

Sul fianco del Palazzo si aprono i Reali Giardini, disposti su sette terrazze. Dopo aver eseguito studi e rilievi approfonditi, si è potuta ottenere una conoscenza dei luoghi tale da poter riproporre anche la sistemazione dei giardini con le essenze e il disegno che originariamente ne componevano l’architettura.

Infine, è possibile visitare la Casa del Tessitore, un tipico esempio di abitazione dell’operaio leuciano, arredata con mobilio dei primi anni del ‘900, dove è ricostruito l’ambiente e le condizioni di vita dell’epoca.

Storia del Belvedere di San Leucio di Caserta

Tutto ebbe inizio nel 1773 quando il giovane Re Ferdinando IV di Borbone, che amava partecipare a battute di caccia, fece recintare il bosco attorno alla ricca residenza rinascimentale dei principi Acquaviva: il Belvedere a San Leucio. Sempre più attratto da questo luogo immerso nella natura e lontano dal peso e dagli impegni della vita di corte, Ferdinando, preoccupato per il futuro dei tanti fanciulli del borgo privi di educazione e istruzione, fece instaurare la prima scuola obbligatoria gratuita d’Italia. Per procurare poi a quei ragazzi, una volta istruiti, un lavoro dal quale trarre sostentamento, pensò all’introduzione di una manifattura di sete grezze. Giunsero così da lontano i maggiori specialisti nell’arte della seta, per insegnarne la lavorazione, costruire le macchine e gestire la produzione; molti, al contrario, partirono da San Leucio per i primi stage all’estero, tornando ricchi di conoscenze da condividere. Incentivò la coltivazione del gelso e la bachicoltura per la produzione del baco da seta, creando così l’intero ciclo di produzione. La manifattura della seta consentiva di impiegare al tempo stesso maestranze femminili e maschili, per questo il Re regalò ad ogni famiglia un telaio da collocare al centro della casa perché ogni famiglia potesse amare e tramandare l’arte della seta. Le abitazioni per gli operai furono progettate tenendo presente tutte le regole urbanistiche dell’epoca, per far sì che durassero nel tempo, ed infatti ancora oggi sono abitate.

Nel 1789 la Manifattura reale diventò una entità autonoma, una sorta di Stato nello Stato, attraverso la promulgazione di un apposito codice di leggi ispirato al programma di rinnovamento sociale di stampo illuministico. Si trattò di un esperimento di assoluta avanguardia nel mondo, un modello di giustizia e di equità sociale raro nelle nazioni del XVIII secolo e non più ripetuto così genuinamente nemmeno nelle successive rivoluzioni francese e marxista. I lavoratori delle seterie usufruivano di diversi benefici: veniva loro assegnata una casa all’interno della colonia, usufruivano di formazione gratuita (qui il re istituì la prima scuola dell’obbligo d’Italia femminile e maschile che includeva discipline professionali) e di un orario massimo di lavoro (11 ore, a fronte delle 14 del resto d’Europa). Le donne ricevevano una dote dal re per sposare un appartenente della colonia, e a disposizione di tutti vi era una cassa comune “di carità”, dove ognuno versava una parte dei propri guadagni. Non c’era nessuna differenza tra gli individui qualunque fosse il lavoro svolto, l’uomo e la donna godevano di una totale parità in un sistema che faceva perno esclusivamente sulla meritocrazia. Era abolita la proprietà privata, garantita l’assistenza agli anziani e agli infermi, ed era esaltato il valore della fratellanza.

Il Codice legislativo si rivolge ad una società già esistente, adattandosi ad essa e, addirittura, non ne fissa un’immagine definitiva ed immobile nel tempo, ma tiene conto della sua naturale evoluzione, prevedendone “nuovi bisogni”. In questa visione dinamica s’inserisce il tentativo di espansione del nucleo iniziale, rappresentato dal piano di ampliamento del villaggio manifatturiero nella grande città di Ferdinandopoli.

La città era concepita su pianta circolare con una grande piazza al centro e un sistema stradale radiale. L’asse simbolico principale della città ipotizzata allineava una grandiosa Cattedrale, la Piazza circolare ed un teatro, confluendo nel centro del complesso Manifatturiero che, sullo sfondo della collina, costituiva la quinta architettonica dominante sulla nuova scena urbana. Esecutore materiale del piano e di tutte le precedenti opere realizzate a San Leucio è Francesco Collecini, primo aiutante del ben più famoso Luigi Vanvitelli. Alla morte di quest’ultimo egli rimane, insieme a Carlo Vanvitelli, l’architetto e la figura più autorevole nell’ambiente napoletano. In seguito alla Restaurazione il progetto della neo-città venne accantonato, anche se si continuarono ad ampliare industrie ed edifici, tra cui il Palazzo del Belvedere. Il progetto utopico del re Ferdinando finì con l’unità d’Italia quando tutto venne inglobato nel demanio statale, e lo speciale regime comunitario fu abolito, ma tradizione e qualità nelle produzioni di tessuti serici sono rimaste fino ad oggi.